Le proteine rappresentano la fonte principale di “mattoni” per costruire ossa e muscoli e per questa ragione è fondamentale assicurarsi che la dieta quotidiana ne contenga in quantità sufficienti. Per raggiungere tale obiettivo bisogna però comprendere a fondo il significato dei claim nutrizionali che riguardano le proteine, disciplinati dal regolamento (CE) 1924/2006 e presenti sulle confezioni dei prodotti che si acquistano in negozio.
Sulla base di quanto stabilito dal regolamento vigente, si possono quindi trovare sul mercato alimenti definiti come:
Come spiegano gli esperti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, claim come “contenuto significativo di proteine” o “contiene proteine” sono equivalenti al primo (fonte di proteine); mentre quelli come “ricco in/di proteine” sono equivalenti al secondo (ad alto contenuto di proteine).
In base a quanto detto in precedenza, appare evidente che il tenore proteico di un alimento non si valuta solo sulla quantità di proteine presenti nell’alimento (per esempio su 100 grammi di prodotto), ma piuttosto sul contributo delle proteine alle calorie totali dell’alimento. Alcuni esempi ripresi dal documento del Ministero possono aiutare a chiarire ancora meglio il concetto.
La pasta. “Se si considera ad esempio una porzione di pasta (80 g), si rileva che il contenuto di proteine corrisponde a circa 9 g, pari a 36 kcalorie (1 g di proteine = 4 kcalorie), mentre il tenore energetico totale e’ pari a 282 kcalorie. Ne consegue che la pasta risulta appena qualificabile come alimento ‘fonte’ di proteine, nutrienti da cui deriva poco più del 12% delle kcalorie totali.”
Il latte. “Il latte, invece, può essere definito ‘ricco di proteine’: nel latte intero le proteine contribuiscono per il 20% alle kcalorie totali, mentre nel latte parzialmente scremato il contributo arriva al 30%.”
Una persona senza particolari problemi di salute potrebbe essere in grado di assumere tutti i nutrienti di cui ha bisogno attraverso la scelta degli alimenti giusti da portare in tavola. Spesso però sulla strada per raggiungere tale obiettivo si pongono ostacoli difficili da superare e per questa ragione potrebbe essere opportuno fare ricorso ad alimenti “fortificati”, ovvero alimenti che sono stati arricchiti con specifici micronutrienti come per esempio calcio o vitamina D.
Anche l’aggiunta di vitamine e minerali agli alimenti è soggetta a una precisa disciplina, descritta dal Reg. 1925/2006 che fornisce, tra l’altro, un elenco delle vitamine e dei minerali che possono essere aggiunti a un alimento. Come si legge nel sito del Ministero della Salute, “… l’aggiunta deve conferire all’alimento addizionato un tenore significativo di vitamine e/o dei minerali, pari di norma ad almeno il 15% della RDA (dose giornaliera raccomandata) per 100 g o 100 ml, secondo i criteri previsti dalla direttiva 90/496/CEE sull’etichettatura nutrizionale, attuata con il decreto legislativo 16 febbraio 1993, n. 77”. Non basta quindi aggiungere, per esempio, un po’ di calcio o vitamina D: per poter essere riportata in etichetta, l’aggiunta deve davvero fare la differenza nell’impatto di quell’alimento sulla nutrizione dell’individuo.
Fonti:
1. Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Elementi informativi per individuare gli alimenti a significativo ed alto tenore proteico.
2. Ministero della Salute. Alimenti addizionati di vitamine, di minerali e altre sostanze.