Lo studio, oltre a confermare come il contesto emotivo possa influenzare modelli alimentari e dieta, pone l’accento sull’importanza delle emozioni negative, che potrebbero diventare un predittore di possibile tendenza al sovrappeso e di consumo di alimenti non propriamente salutari.
L’attenzione degli esperti si è concentrata in particolare su ciò che accade nei fine settimana, quando, a detta degli scienziati, sale la probabilità che i piccoli consumino cibi meno sani e controllati. L’indagine ha preso in esame poco meno di 200 bimbi tra i 9 e 12 anni di età, abitanti nella metropoli californiana. I piccoli, assistiti dalle mamme, grazie ad una App dedicata sono stati contattati sette volte al giorno, con domande sul loro stato emotivo (in particolare per tensione, rabbia o tristezza) e le eventuali scelte alimentari non salutari tra cibi fritti, dolci e bevande zuccherate nelle ore precedenti.
I bambini hanno riferito di aver mangiato dolci o pasticcini almeno una volta al giorno nel 40% dei giorni. Patatine fritte venivano consumate almeno una volta al giorno in quasi il 30% dei giorni e le bevande zuccherate venivano consumate almeno una volta al giorno nel 25% dei giorni. I ricercatori hanno anche identificato tre modelli di umore negativi durante il giorno: basso stabile; con aumento precoce e decrescita tardiva; e viceversa. Nello studio, nel 90% dei giorni, i bambini hanno riportato un umore basso e negativo stabile, ma il promemoria presentava stati d’animo variabili durante il giorno.
Cosa è emerso? L’umore negativo predice positivamente l’assunzione di cibi grassi da parte dei bambini. Sul fronte dei comportamenti alimentari, peraltro, pare che la la mattina e la sera siano due possibili periodi vulnerabili in cui il cambiamento delle emozioni negative potrebbe influenzare le scelte alimentari. Per cui proprio in queste fasi occorre attenzione. Lo studio propone una serie di indicazioni pratiche per affrontare al meglio le relazioni tra condizioni emotive e tendenze al consumo di alimenti poco salutari nei più piccoli.
Va comunque sottolineato che, a prescindere da questa situazione, le scelte alimentari dei bimbi che rifiutano un determinato alimento, oltre alla selettività possono avere anche una natura antropologica protettiva. Il “non mi piace”, che a volte soprattutto nei bambini può diventare un poco gradevole “mi fa schifo”, risuona vicino ai tavoli di molte abitazioni, quando ci si trova ad un piatto davvero insopportabile e semplicemente sentendo un odore in cucina che induce sensazioni non proprio positive. Ma forse, pur se il “bon-ton” certo non consiglia di comportarsi così, alla fine questa sorta di repulsione a tavola (escludendo i vizi ovviamente) potrebbe anche avere un significato positivo in termini di salute.
A celebrare una sorta di “elegia” scientifica del disgusto è un’originale ricerca che addirittura arriva a vedere questa abitudine come un meccanismo antropologico per conservare la specie umana sulla via dell’evoluzione. Lo dice l’originale ricerca condotta dagli scienziati dell’Università Washington di Saint Louis coordinati da Theresa Glldner, apparsa sulla rivista dell’accademia delle scienze americana, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). L’obiettivo della repulsione verso uno o più alimenti, stando a questo studio, sarebbe proprio conservare il benessere. Insomma: nel rapporto tra psiche e alimentazione ci vuole molta attenzione. Fin dalla prima età.