Solo pochi mesi fa, la grande paura: l’Europa si è trovata di fronte all’escherichia coli, un batterio molto comune, che spesso provoca cistiti.
In questa particolare occasione il germe si è rivelato estremamente pericoloso, tanto da aver causato diverse vittime e numerosi casi di sindrome emolitico-uremica, una grave patologia che attacca i reni.
Dopo aver messo sotto accusa i cetrioli, gli esperti hanno fatto marcia indietro: probabilmente la diffusione del germe sarebbe stata legata ad una forma mutante altamente tossica e mai individuata prima, che si sarebbe sviluppata nel letame usato nella coltivazione dei vegetali.
Non è la prima volta che si parla di “microepidemie” legate a ceppi di escherichia coli. Qualche anno fa negli USA il colpevole, anche allora in forma diversa rispetto al batterio “capostipite”, si trovava negli spinaci e liberava tossine “Shiga“, che provocavano emorragie e addirittura attaccavano in qualche caso i reni.
Numerosi erano stati i casi di infezione, fino a registrare anche alcuni decessi, soprattutto tra bambini e anziani.
La vicenda, che ormai è sparita dalle prime pagine dei giornali, dimostra ancora una volta come sia importante prestare molta cura a ciò che mettiamo in tavola.
Tanti sono i malanni che a volte si manifestano perché non si fa abbastanza attenzione all’igiene.
Per frenare i rischi di tossinfezioni alimentari, in termini generali, basterebbe seguire le cinque regole rilasciate nel 2004 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:
Seguendo queste semplici indicazioni si può giocare d’anticipo sulle tossinfezioni alimentari più diffuse nelle nostre latitudini.
Il “nemico” più diffuso si nasconde soprattutto nelle mani.
Si chiama stafilococco aureo ed è un germe che spesso vive sulla pelle, per poi trasferirsi agli alimenti che vengono manipolati. In caso di consumo di cibi contaminati, provoca una forte diarrea, a volte accompagnata da nausea e vomito, che dura in genere poche ore. Ovviamente il batterio si trasmette all’alimento attraverso il contatto con le mani e si riproduce a grande velocità se trova le condizioni termiche ideale per replicarsi.
Altrettanto temibile è l’infezione causata dai diversi tipi di salmonella, che è sicuramente più pericolosa e può causare, oltre ai sintomi intestinali, anche febbre per alcuni giorni. In questo caso vengono frequentemente messe sotto accusa le uova utilizzate a crudo, ad esempio per creme o maionese (il batterio può albergare anche sulla guscio dell’uovo).
Per ciò che concerne frutta e verdura, è importante lavarli accuratamente, magari tramite un disinfettante, per azzerare gli eventuali rischi.
Qualche tempo fa, Dennis G. Maki, docente di Medicina all’Università del Wisconsin, dalle pagine del New England Journal of Medicine aveva espresso l’inusuale possibilità di irradiare i cibi con isotopi radioattivi per debellare gli eventuali batteri presenti e prevenire qualsiasi tipo di disturbo.
Una soluzione estrema, di fatto poi non attuata.
In generale, in caso di infezione, è importante soprattutto assicurare una valida reidratazione all’organismo che deve avere a disposizione minerali per reintegrare le perdite: via libera quindi ad acqua, brodo e succhi di frutta.
Si può trovare soprattutto nel riso bollito e negli alimenti contenenti amido non raffreddati dopo la cottura, oltre che in prodotti di pasticceria, salse, zuppe, carni cotte non refrigerate e poi riscaldate.
Può rilasciare due tossine diverse: una induce una crisi di vomito entro sei ore dall’ingestione, l’altra può provocare diarrea e dolori addominali e si manifesta entro 24 ore.
E’ una delle infezioni maggiormente diffuse. Si può trasmettere attraverso prodotti di gastronomia, dolci, piatti cotti pronti manipolati e conservati non adeguatamente. In genere entro sei ore dall’ingestione del cibo contaminato compaiono nausea, vomito, crampi addominali e altri disturbi legati alla tossina rilasciata nell’organismo dal germe.
Esistono diversi ceppi, che possono provocare semplici diarree fino a patologie gravi con emorragie a carico dell’apparato digerente. L’incubazione può variare da sei ore a due o più giorni. A rischio carni crude o poco cotte, latte crudo o non pastorizzato a dovere, verdure crude, acqua contaminata.
Anche questo batterio si presenta in diverse varietà.
La “salmonella non tifoide”, la più diffusa, ha un tempo di incubazione che varia dalle sei ore ai due giorni e provoca diarrea con febbre e forti dolori di pancia. A volte può essere presente vomito.
Gli alimenti a maggior rischio sono i vegetali crudi, in particolare le insalate, le uova, i latticini freschi, i molluschi.
Questo germe può causare un’intensa diarrea accompagnata da dolori addominali e crampi dell’intestino. In genere l’incubazione è relativamente breve e non supera quasi mai le 24 ore. Il batterio può albergare in alcune carni, in particolare il roastbeef e gli arrosti, oltre che in verdure, salse, piatti pronti e comunque in molti cibi cotti e poi conservati a più di 4 gradi.
Provoca un’infezione particolarmente grave e può determinare sintomi neurologici come vertigini e fortissime cefalee. I danni sono legati alla tossina liberata dal batterio, che ha un’incubazione fino a 48 ore. Occorre prestare particolare attenzione alle conserve fatte in casa, specie se sott’olio e comunque a basso grado d’acidità.
Fonte, CNRA – Istituto Superiore di Sanità
A cura del Comitato Scientifico Fondazione Istituto Danone