Mangiamo più fibre, così “proteggiamo” il microbiota

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Frutta e verdura; alimenti integrali: l’alimentazione mediterranea promette (e consente) di favorire il benessere dell’organismo. Soprattutto, l’assunzione di un adeguato quantitativo di fibre alimentari rappresenta una chiave importante per mantenere in salute il microbiota intestinale.

Addirittura, in qualche modo, mangiare alimenti ricchi di fibre ed in particolare di cellulosa potrebbe rappresentare un sistema per riportare indietro nel tempo i batteri intestinali, a fronte dello “stress” creato su di loro dall’alimentazione moderna eccessivamente raffinata. A dirlo è una ricerca apparsa su Nature, coordinata da Itzhak Mizrahi presso l’Università Ben-Gurion (BGU), che ha visto la collaborazione di esperti internazionali. Lo studio, in qualche modo, ci riproietta all’indietro nel tempo. E contribuisce a spiegare come mai i vegetali (e non solo), sono fondamentali per la salute dell’intestino, come capitava ai nostri antenati.

Occhi puntati sui cellulosomi

Proviamo a fare un viaggio nel tempo. Si sa che le fibre aiutano a mantenere in equilibrio il microbiota, facilitandone anche la varietà nella composizione. Purtroppo però quella che oggi viene definita “Western Diet” ci sta spostando dalle abitudini dei nostri avi. Soprattutto, influisce su specifici batteri in grado di degradare la cellulosa. Si tratta di batteri del genere Ruminococcus: degradando la cellulosa producendo complessi proteici extracellulari grandi e altamente specializzati chiamati cellulosomi. Anche se apparentemente sembra un’attività semplice, quella dei batteri è in realtà complessa. Infatti la cellulosa è difficile da digerire perché è insolubile. I cellulosomi sono progettati dai batteri per attaccarsi alle fibre di cellulosa e staccarle, come i singoli fili di un pezzo di corda. Gli enzimi cellulosomiali scompongono poi i singoli fili di fibra in catene più corte, che diventano solubili. Possono così essere digeriti non solo dal Ruminococcus, ma anche da altri batteri. Ciò che conta è sapere che alla fine i cellulosomi sono vere e proprie strutture produttrici di energia, visto che agevolano la trasformazione delle fibre in zuccheri. La produzione di cellulosomi pone il Ruminococcus al vertice della cascata di degradazione delle fibre che alimenta un microbioma intestinale sano. Purtroppo però il Ruminococcus rischia molto, con un’alimentazione che sempre più si allontana dl necessario quantitativo di fibre.

Perché dobbiamo ingerire più fibre

Per capire quanto è importante il genere Ruminococcus ricordiamo che gli antenati invisibili di questi ceppi produttori di cellulosomi, fanno parte del rumine di mucche, pecore ed altri animali. Il rumine è un organo speciale che appunto grazie ai batteri presenti, che degradano la cellulosa, favorisce queste reazioni a partire dalle fibre dell’erba. Nel tempo i nostri antenati si sono probabilmente avvicinati a queste componenti del microbiota. E nel tempo il Ruminococcus, come altri ceppi, è entrato a far parte del nostro microbiota. Purtroppo, con i mutamenti nelle abitudini alimentari, progressivamente si rischia di perdere componenti così importanti del microbiota, con conseguente potenziale carenza di batteri che degradano la cellulosa nel nostro microbiota. Per questo è fondamentale consumare fibre, anche abituandosi progressivamente se la dieta ci ha portato ad abitudini diverse.

È importante provare modi diversi per aumentare l’assunzione di fibre e capire cosa funziona meglio: ciò che conta è aggiungere fibre alla nostra dieta. Occorre un apporto equilibrato, sia di fibre insolubili che solubili. Quelle particolarmente ricche di cellulosa, cioè insolubili (contenute ad esempio nella crusca) possono creare qualche problema, in particolare negli anziani, ma vanno integrate con quelle solubili, di cui sono ricchi ad esempio le mele e le verdure cotte. Poi c’è il capitolo dei legumi, che in qualche modo contengono tutti e due i tipi di fibre. Questi alimenti vanno consumati con regolarità, sapendo che se qualcuno ha problemi nel sopportare la parte esterna (fatta appunto di fibre insolubili) si possono consumare passati, eliminando i possibili fastidi. Il consiglio degli esperti, insomma, è semplice: non dimenticate le fibre, ricordando che alcune hanno un effetto maggiore sul metabolismo e quindi sulla glicemia e sui lipidi, altre invece regolano maggiormente la velocità del transito intestinale.

In termini quantitativi, per la popolazione generale si consiglia un apporto di fibre di 30-35 grammi al giorno. Proviamo a tradurre in pratica? Significa assumere un piatto di legumi o di pasta e legumi 2-3 volte la settimana, uno o due abbondanti piatti di verdura nella giornata e due-tre pezzi di frutta al giorno. Tra i cereali è bene scegliere quelli meno raffinati, come ad esempio il pane integrale e la pasta integrale.

 

Nome ingannevole quello di Ruminococcus, che indurrebbe a pensare a questi batteri come confinati al mondo dei ruminanti.

In realtà, superata la difficoltà di identificazione di questi batteri fortemente anaerobi, si è determinata la loro presenza in quantità non trascurabili, nell’intestino di molti esseri viventi, incluso il genere umano.

Fu proprio il gruppo di ricerca che dirigo che, nel 2016, mise per la prima volta in evidenza la presenza di ruminococchi nell’intestino dei neonati, cosa fino ad allora non nota.

Benvenuto quindi a questo ulteriore amico della nostra salute e… prendiamocene cura.

Commento del Prof. Lorenzo Morelli, Presidente del Comitato Scientifico.

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