Che il microbiota si stia rivelando una vera e propria fonte di informazioni per la scienza, viste le molteplici correlazioni con diversi stati fisiologici e patologici dell’organismo, è ormai una realtà acclarata. Ma l’avanzamento delle ricerche apre squarci di comprensione anche in patologie, come quelle cardiovascolari, che apparentemente appaiono lontane dalla disbiosi intestinale. Si sa che la composizione della flora batterica può avere un senso nel definire il rischio su questo versante, ma ora una ricerca condotta all’Università Baylor pubblicata su Circulation Research indica che alterazioni del microbiota potrebbero giocare un ruolo anche sul fronte dei valori pressori. E l’ipertensione, si sa, è uno dei principali fattori di rischio per infarto del miocardio e ictus cerebrale.
Da tempo gli esperti d’oltre Oceano stanno indagando questo aspetto. Hanno già dimostrato, ad esempio che in topi esposti allo sviluppo di ipertensione il microbiota ha una composizione diversa rispetto a quella dei coetanei che non presentano questa specifica alterazione. Come se non bastasse gli esperti dell’Università Baylor sono riusciti a dimostrare che trasferendo il microbiota intestinale da un topo con ipertensione in uno normale sotto il profilo pressorio si ottiene nell’animale trapiantato un incremento significativo della pressione. Insomma: ci sarebbe già la prova che le alterazioni del microbiota non sarebbero solo una conseguenza, ma anche un possibile fattore che entra in gioco nella genesi dell’ipertensione. Così gli esperti, nella ricerca apparsa su Circulation Research, hanno provato a spingersi oltre cercando di capire se un approccio in grado di modificare in senso positivo il microbiota del tubo digerente, ed in particolare dell’intestino, fosse in grado di influire anche sui valori pressori. La risposta è stata positiva.
Per giungere a questa conclusione sono stati seguiti due gruppi, entrambi predisposti ad ipertensione e due gruppi “normali”: nella prima popolazione si è proceduto con un’alimentazione con digiuno alternato (ogni due giorni), nella seconda, composta da soggetti ipertesi o sani, si è invece lasciato cibo a volontà. Dopo poco più di due mesi, chi si nutriva senza controllo aveva la pressione più alta rispetto al gruppo di quelli adattati al digiuno alternato, pur in presenza della predisposizione all’ipertensione. Poi gli esperti hanno trapiantato il microbiota degli ipertesi dei due gruppi in individui “germ-free”, cioè senza microbiota proprio. Ed hanno visto che nei soggetti che avevano ricevuto microbiota da quelli con pressione più alta, dopo dieta senza controllo, la pressione è risultata più elevata.
Secondo gli esperti, questa sequenza di esperimenti prova il ruolo che le alterazioni del microbiota (figlie dell’alimentazione) inducono sui valori pressori. Inoltre si è visto che il gruppo di soggetti “naturalmente” ipertesi, alimentati normalmente, aveva meno acidi biliari in circolazione rispetto al gruppo con pressione normale. E proprio su questo aspetto, anche se forse non è l’unico, agirebbe il microbiota alterato.