Perché si invecchia? È una domanda che gli uomini si pongono sin dai tempi antichi e che nel corso dei secoli ha generato risposte diverse tra gli esperti di medicina e salute, basate sulle conoscenze scientifiche del momento. C’è la “teoria genetica” che sostiene che l’invecchiamento sia la diretta conseguenza di un programma genetico ben definito, quella “cellulare” che lega la senescenza dell’organismo a quella delle cellule capaci di riprodursi un numero limitato di volte. Ma ci sono anche la teoria neuroendocrina, quella immunologica e quella dei radicali liberi, tutte basate su dati scientifici che spiegano – da punti di vista differenti, ma spesso complementari – perché e come l’organismo invecchia. Indipendentemente dalle specifiche teorie, su un dato il mondo scientifico concorda: l’invecchiamento è un fenomeno fisiologico molto complesso che viene influenzato dall’interazione costante tra diversi fattori genetici e ambientali.
Tra i fattori ambientali la dieta riveste senza dubbio un ruolo di primo piano nel buon invecchiamento, come emerge dai numerosi studi che dimostrano l’effetto positivo o negativo degli alimenti e delle abitudini a tavola sullo sviluppo di patologie tipiche dell’età avanzata: dalle demenze all’osteoporosi, dal diabete di tipo 2 alle malattie cardiovascolari. Le ricerche più recenti, basate anche su sofisticate tecniche di analisi del genoma, puntano in particolare a chiarire il legame tra cibo e DNA, con l’obiettivo di arrivare a mettere in campo strategie efficaci per prevenire patologie croniche e, più in generale, per invecchiare meglio.
In una società che invecchia, la salute della popolazione anziana assume il ruolo di protagonista anche nella ricerca biomedica. Utilizzare la dieta come strumento di benessere e di buon invecchiamento rappresenta l’obiettivo finale di tanti studi recenti che sono riusciti a dimostrare come le caratteristiche genetiche dell’individuo, oltre a determinare la sua predisposizione ad alcune patologie, determinino anche la risposta ai nutrienti introdotti con la dieta.
A questa nuova branca della scienza chiamata nutrigenomica e descritta in dettaglio nella rubrica “Lo sai che”, se ne associano altri che puntano invece a comprendere come il cibo possa influenzare il DNA e l’espressione di geni e proteine. In particolare si guarda alle cosiddette modifiche epigenetiche, che cambiano la molecola del DNA senza modificarne la sequenza originale. Sin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, gli scienziati hanno ipotizzato un legame forte tra cambiamenti epigenetici e invecchiamento, ma solo recentemente le moderne tecniche di analisi hanno permesso di far luce su alcune di queste connessioni. In particolare, è stato osservato che lo stato di metilazione del DNA (una modifica chimica epigenetica della molecola di DNA) varia nel corso della vita e che nelle persone più anziane assume caratteristiche specifiche che rendono per esempio l’organismo più soggetto all’instabilità genomica tipica delle cellule che invecchiano.
Come si inserisce il cibo in questo discorso? La risposta generale è semplice anche se i meccanismi fini sono stati chiariti solo in parte: micro e macronutrienti del cibo causano modifiche epigenetiche al DNA e possono modulare i processi tipici dell’invecchiamento. E così per esempio la riduzione delle calorie aumenta l’espressione e/o l’attività di SIRT1, una molecola coinvolta in specifici meccanismi epigenetici (deacetilazione). Anche il resveratrolo, presente nel vino rosso, nelle fragole e nei mirtilli, ha la capacità di attivare SIRT1, simulando in un certo senso la riduzione calorica. Altre molecole come l’epigallocatechina gallata del te verde, il sulforafano di cavoli e broccoli, la genisteina della soia e la quercetina di cipolle e agrumi hanno effetti epigenetici che aiutano il buon invecchiamento e che studi futuri potranno magari trasformare in vere e proprie terapie di prevenzione.
Fonti:
1. Rescigno T, et al. Molecules. 2017 Jan 8;22(1). Review.
2. Park JH, et al. Prev Nutr Food Sci. 2017 Jun;22(2):81-89. Review.