D’altro canto, assumere regolarmente una sufficiente quantità di fibra alimentare (da scegliere anche in base alla loro qualità, come vedremo), potrebbe tradursi non solo in un maggior benessere, ma anche in un vero e proprio allungamento della vita, stando ad uno studio apparso qualche tempo fa su Plos Medicine, che ha analizzato i risultati di una serie di studi comprendenti più di 8000 persone con diabete, proprio per salutare l’impatto delle fibre alimentari.
Stando a quanto riporta l’analisi pare proprio che gli effetti siano davvero significativi, visto che le fibre alimentari possono migliorare il controllo glicemico nel diabete di tipo 1 e 2 e nel prediabete e influenzare favorevolmente una gamma di fattori di rischio per cuore e arterie oltre al controllo glicemico. Insomma: le fibre ci aiutano. Ma attenzione. Forse non bisogna pensare che ciò che accade ad una persona si ripeta allo stesso modo per un’altra. O meglio. Parlare di fibre in generale senza riferirsi alle reazioni del singolo individuo, mediate anche dal microbiota intestinale, può non essere sempre corretto. A segnalarlo è una ricerca degli esperti dell’Università di Stanford, pubblicata su Cell Host & Microbe, che mostra come gli effetti soggettivi possano essere diversi, anche in relazione alla quantità e al tipo di fibre ingerite.
In termini generali ricordiamo che quelle particolarmente ricche di cellulosa, cioè insolubili (contenute ad esempio nella crusca) possono creare qualche problema, in particolare negli anziani, ma vanno integrate con quelle solubili, di cui sono ricchi ad esempio le mele e le verdure cotte. Quelle solubili, su cui si è concentrata l’analisi, potrebbero in alcune persone avere un effetto “double-face”.
Lo studio, sia chiaro, ha preso in esame solamente due tipi di fibre, una molto presente nei cereali integrali, l’altra di cui sono ricchi ad esempio cipolle, radice di cicoria e topinambur. Sono pochissimi i soggetti studiati, meno di 20, che però sono stati analizzati con grande attenzione dopo un’alimentazione che ha previsto 10 grammi di fibre al giorno durante la prima settimana, 20 grammi al giorno durante la seconda settimana e 30 grammi al giorno durante la terza settimana.
Per le fibre da cereali integrali, ad esempio, si è visto che sono aumentati gli acidi biliari e si è visto calare il colesterolo “cattivo” o LDL. Ma queste risposte non sono state osservate in tutti e per certe persone questi effetti positivi non sono stati rilevati. Per l’inulina a catena lunga, esempio di fibra solubile, si è visto un effetto dose-dipendente. In generale sono calati i biomarcatori infiammatori e sono cresciuti nel microbiota i Bifidobatteri, utili nel processo di produzione di acidi grassi a catena corta. Ma a dosaggi di fibre molto elevati (e solo in alcuni soggetti) si è avuto un effetto quasi contrario, caratterizzato da un incremento dei valori dei marcatori dell’infiammaizone e da una leggera sofferenza del fegato.
Insomma: pur se lo studio è durato poco tempo ed ha preso in esame un numero davvero minimo di soggetti, quanto emerso sulla reazione soggettiva all’ingestione di fibre alimentari va considerato. Ed occorre soprattutto ricordare che non tutti siamo uguali. Altre ricerche dovranno chiarire meglio alcuni aspetti emersi nella ricerca, visto che quanto pubblica dimostra come i benefici della fibra dipendono dal tipo di fibra, dalla dose e dal partecipante, ossia da un insieme di fattori risultanti dalle interazioni tra fibra, microbiota intestinale e ospite.
Gli effetti della dieta, in questo caso della fibra, possono essere differenti a seconda dell’enterotipo del soggetto, vale a dire a seconda della diversità/qualità del microbiota intestinale. La fibra è infatti il “mangime” di alcuni microorganismi, che in sua presenza crescono meglio e producono metaboliti benefici. C’è anche da dire che il microbiota si può allenare, per cui consumare una dieta ricca di fibra, sia essa solubile, che insolubile, in maniera graduale in un intestino non allenato, è un ottimo sistema per far crescere un microbiota sano
Commento del dr. Andrea Ghiselli, membro del Board Scientifico della Fondazione Danone.