Frutta e verdura, pochi grassi di origine animale, olio extravergine d’oliva e pesce a volontà sono le basi della dieta mediterranea divenuta patrimonio Unesco, ma così difficile da seguire in tempi di crisi.
A lanciare l’allarme è il team di ricercatori dei Laboratori di Ricerca della Fondazione Giovanni Paolo II Università Cattolica di Campobasso, che ha pubblicato sulla prestigiosa rivista britannica BMJ Open, i risultati di uno studio che ha coinvolto oltre 13.000 persone.
“La nostra ipotesi è partita da una constatazione piuttosto semplice – spiega Marialaura Bonaccio, primo autore dello studio – cioè l’idea che il rincaro prezzi dei prodotti alimentari e l’impoverimento progressivo della popolazione, potessero spiegare il dilagante fenomeno di obesità che negli ultimi anni sta interessando soprattutto i Paesi del Mediterraneo, Italia in testa”.
Al vaglio degli studiosi sono finite numerose informazioni raccolte sulle persone coinvolte, rappresentanti un sottocampione del più ampio progetto epidemiologico Moli-sani che, a partire dal 2005, ha reclutato circa 25.000 cittadini della regione Molise (trasformando un’intera regione in un grande laboratorio scientifico).
Lo scopo è stato quello di esaminare le interazioni genetiche e ambientali nell’insorgenza delle principali patologie croniche (da quelle cardiovascolari ai tumori).
Gli autori dello studio hanno messo in relazione il reddito dei partecipanti con le loro abitudini alimentari ed hanno valutato queste ultime in base alla loro conformità con la dieta mediterranea, con dei veri e propri punteggi (“score”).
E’ emerso che le persone con un reddito basso seguono la dieta mediterranea in misura significativamente minore rispetto a coloro che hanno una maggiore disponibilità economica – dice Licia Iacoviello, responsabile del Progetto Moli-sani.
I meno abbienti sembrano seguire un’alimentazione meno sana legata, magari, al consumo di cibi preconfezionati che risultano essere più economici di quelli freschi tipici della nostra tradizione. La diretta conseguenza è una percentuale di obesità , tra le persone a basso reddito, decisamente più elevata di quanto riscontrato nelle fasce benestanti della popolazione.
Tra i meno agiati, infatti, i problemi di peso riguardano circa il 36% degli individui, contro un più rassicurante 20% rilevato tra coloro che dispongono di maggiori risorse economiche.
“Il ruolo del reddito è davvero impressionante – continuano gli autori della ricerca – Ovviamente abbiamo considerato tutta una serie di possibili fattori “confondenti”, come si dice in gergo, vale a dire elementi che potrebbero confondere il dato osservato. Anche il titolo di studio, ad esempio, ha un peso notevole nel determinare lo stato di salute, come dimostrato da numerose ricerche internazionali.
Ecco perché nelle nostre analisi abbiamo diviso ulteriormente la popolazione secondo il livello di istruzione ma, anche in questo caso, è il reddito ad influenzare in maniera decisiva le scelte alimentari”.
Fonte: Comunicato Stampa Unità di Comunicazione scientifica – Laboratori di Ricerca, Fondazione di ricerca e cura Giovanni Paolo II, Campobasso