E non si tratta di un’indicazione campata in aria, ma dimostrata da ricerche scientifiche che celebrano il modello dell’alimentazione mediterranea, che ha proprio nel consumo regolare di frutta e verdura uno dei capisaldi nutrizionali.
Alle diverse analisi sul tema si aggiunge ora uno studio che, partendo dai risultati di 41 ricerche cliniche condotte su quasi 8500 persone, dimostra un effetto delle diete a base vegetale anche non particolarmente rigorose (quindi contenenti anche alimenti di origine animale) contribuiscano a mantenere sotto controllo i valori della pressione arteriosa.
L’indagine, realizzata appunto come metanalisi ovvero come rielaborazione combinata degli esiti di diversi studi, è apparsa su Journal of Hypertension ed ha come primo autore Joshua Gibbs. Lo studio pare mostrare, confrontando diversi regimi dietetici, che un’alimentazione a prevalente composizione vegetale ma non totalmente vegetariana consente di ottenere mediamente un calo sia della pressione sistolica, cioè la massima, sia della diastolica, ovvero la minima. Il tutto, va detto, a prescindere dal peso di altri parametri significativi come il peso corporeo, calcolato attraverso l’indice di massa corporea o BMI, e il sesso dei partecipanti alle ricerche.
La ricerca è solo un’ulteriore prova del valore di un’alimentazione “Plant Based”, e viene confermata da un altro studio recentemente pubblicato su Journal of American Heart Association, condotto da esperti dell’Università di Harbin. In Cina la ricerca, che ha considerato oltre 21.500 persone che hanno preso parte all’indagine Nhanes (National Health and Nutrition Examination Survey) condotta su donne e uomini di età superiore ai 30 anni seguite dal 2003 al 2014 correlando le abitudini alimentari con i decessi, dimostra che il classico pranzo che contiene cereali raffinati, formaggio e salumi è stato associato a un aumento del 44% del rischio di morte per malattie cardiovascolari. Quando si preferiva la frutta il rischio è apparso invece ridotto del 34%. La cena a base di verdure è stata associata a una riduzione del 23% e del 31% delle malattie cardiovascolari e della mortalità per tutte le cause.