Anche in oncologia il ruolo del microbiota intestinale diventa sempre più significativo. E non solo in prevenzione.
La composizione della popolazione batterica all’interno del tubo digerente potrebbe diventare una sorta di invisibile “suggello” che, in futuro, potrebbe anche consentire di aggiungersi agli strumenti di diagnosi precoce disponibili. A farlo pensare è una ricerca condotta dagli studiosi dell’Unità Cancer Stem Cells dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza apparsa su Journal of Experimental & Clinical Cancer Research.
Lo studio ha infatti identificato un insieme di batteri intestinali, la cui presenza contraddistingue il tumore al colon-retto definito dalla mutazione del gene BRAF. Il carcinoma al colon-retto è la terza tipologia di tumore più diffusa ed una delle principali cause di morte per cancro. In circa il 10 per cento dei pazienti con carcinoma del colon retto e nei pazienti metastatici sono associate le mutazioni di BRAF che danno luogo a forme tumorali con prognosi più infausta, che meno rispondono alle terapie.
Il microbiota, l’insieme cioè dei batteri che colonizzano l’intestino, sembra influire sul rischio di ammalarsi di tumore, nello specifico, anche del tumore al colon-retto e sulla risposta ai farmaci. L’espansione di alcuni microrganismi “cattivi” può, infatti, forgiare il sistema infiammatorio e immunitario, e favorire la crescita incontrollata delle cellule, favorendo la promozione e la progressione del cancro.
In questo studio abbiamo inizialmente messo a punto un nuovo modello sperimentale murino innovativo, tramite iniezione delle cellule che causano l’insorgenza dei CRC BRAFV600E, ossia le cellule staminali maligne trasformate. Si è quindi identificata in un modello sperimentale la presenza di un gruppo distinto di batteri intestinali, laddove era presente la mutazione BRAF. Successivamente, è stato ricercato il profilo del microbiota intestinale identificato nel modello sperimentale, direttamente nei pazienti con tumore del colon-retto che presentavano questa mutazione, grazie alla collaborazione di Valerio Pazienza, ricercatore dell’Unità di Gastroenterologia dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e coautore dello studio.
È stato osservato, grazie alla microbiologa Binda, che la mutazione del gene BRAFV600E orchestra uno specifico profilo di microorganismi “cattivi” che ben si associa al profilo aggressivo e letale tipico di questa neoplasia. In particolare, sono stati messi a confronto i campioni dei portatori del gene BRAF mutato, con quelli di un secondo gruppo in cui la mutazione V600E è assente.
Confrontando le frequenze dei batteri osservate nei due gruppi, è stato scoperto che alcune specie sono molto più frequentemente presenti nel gruppo portatore gene BRAF mutato, rispetto al gruppo in cui la mutazione V600E è assente.
Questa firma, in futuro, potrebbe essere utilizzabile per discriminare la presenza del gene BRAF mutato, aprendo la strada a programmi di screening per la diagnosi non invasiva e precoce del tumore al colon-retto portatore di mutazione del gene BRAF e l’implementazione di nuove terapie sempre più personalizzate ed efficaci, nonché meno tossiche, anche in combinazione con i regimi terapeutici standard.
Allo studio, reso possibile anche grazie ai finanziamenti dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC), hanno contribuito – all’interno di Casa Sollievo della Sofferenza – le unità di Chirurgia Addominale, diretta da Francesca Bazzocchi, e quella di Oncologia con il medico Tiziana Latiano.