Il sale – in termini tecnici cloruro di sodio, formato da sodio (Na) e cloro (Cl) – è da sempre ritenuto prezioso per l’uomo. Non per niente il termine “salario” deriva proprio dal fatto che presso i Romani la paga veniva corrisposta in sale, indispensabile per conservare i cibi in un’epoca nella quale il frigorifero non esisteva. E nel Rinascimento proprio una tassa sul sale è alla base della decisione di Toscana e Umbria di cominciare a produrre pane insipido, ovvero non salato. Con il passare del tempo però questa sostanza è diventata in un certo senso meno preziosa e oggi la si trova a costi piuttosto contenuti sugli scaffali dei supermercati, tanto che la gente spesso ne abusa senza rendersi conto dei potenziali pericoli per la salute.
Secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il consumo giornaliero di sale non dovrebbe superare i 5 grammi, pari a circa 2 grammi di sodio, ma i numeri ci dicono che la realtà è ben diversa in molti Paesi del mondo. Un’indagine svolta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) su circa 4.000 uomini e donne ha rilevato che in Italia il consumo medio di sale è di 10,6 grammi per gli uomini e di 8,2 grammi per le donne, ben al di sopra del limite raccomandato dall’OMS. Solo il 5% degli uomini e il 15% delle donne rispetta questo limite e il sale è più presente nelle tavole del Sud rispetto a quelle del Nord.
Nel suo piano d’azione 2013-2020 per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili l’OMS ha incluso anche un obiettivo ambizioso che riguarda il consumo di sale: ridurlo del 30% entro il 2025 in tutta la popolazione, modificando i prodotti e le abitudini alimentari. In molti Paesi sono attivi progetti per arrivare a risultati simili come per esempio gli italiani “Meno sale più salute” e “Minisal-GIRSCI” grazie ai quali è stato stipulato nel 2009 un accordo con i panificatori per ridurre del 15% entro il 2011 il contenuto di sale nel pane. E la strategia ha avuto successo come dimostrano i dati: il consumo di sale nell’alimentazione degli Italiani è sceso del 12%.
Ma perché tutta questa attenzione sul sale? È davvero così pericoloso per la salute?
In effetti sono sempre più numerosi gli studi internazionali che dimostrano come una dieta troppo ricca di sale sia associata a un aumento di diversi disturbi, in particolare l’ipertensione e, di conseguenza, anche il rischio di infarto, ictus e altre malattie cardiovascolari. Ma non finisce qui: l’eccesso di sale fa male anche ai reni, favorisce lo sviluppo dei tumori dello stomaco, aumenta il rischio di perdere calcio con le urine e potrebbe quindi favorire l’osteoporosi. Inoltre, uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Nutrients ha fatto luce su un possibile meccanismo che lega l’eccesso di sale all’obesità. Secondo gli autori, una dieta ricca di sale aumenta i livelli di grelina, un ormone che regola l’appetito, l’assunzione di cibo e il deposito di grasso, contribuendo a incrementare il già grave problema dell’eccesso ponderale.
Si parla tanto, a volte troppo, di alimentazione e dei rischi associati a una dieta poco corretta, ma forse di sale non si parla ancora abbastanza. A volte si riduce il sale solo in caso di problemi di pressione troppo alta o di patologie renali o cardiovascolari. La realtà è che l’eccesso è pericoloso per tutti, anche per chi è sano e non ha problemi di ipertensione, come ricordano gli esperti. In base ai dati sui consumi, in Italia quasi tutti dovremmo quindi cercare di dimezzare il sale che consumiamo ogni giorno, ma l’impresa non è certo semplice anche perché i miti e le false credenze sull’argomento sono davvero molti. C’è chi pensa per esempio che eliminando il sale aggiunto agli alimenti e togliendo una volta per tutte la saliera dal tavolo la dieta risulterà priva di sale. Falso. Il sale aggiunto a tavola rappresenta “solo” il 36% del totale consumato; il 54% dei consumi deriva invece dagli alimenti trasformati nei quali il sale è stato aggiunto come esaltatore di sapidità o come conservante (pane, pizza, formaggi, salumi ecc.).
La quota di sale naturalmente presente negli alimenti sarebbe in quantità più che sufficienti a soddisfare i fabbisogni senza rischi di superare la soglia raccomandata dei 5 grammi al giorno (un cucchiaino da té): ne sono ricchi i cibi conservati e quelli salati come patatine, affettati o salsa di soia e in alcuni casi anche alimenti insospettabili come per esempio biscotti e merendine. Ma sono pasta, pane e i prodotti da forno a incidere maggiormente sul consumo di sale degli italiani, non perché ne contengono in quantità eccessiva, ma perché vengono consumati in grandi quantità e sotto diverse forme nel corso della giornata. Ridurre fortemente il sale aggiunto è comunque importante e per evitare di far perdere sapore ai piatti è possibile ricorrere alle spezie oppure al succo di limone e all’aceto, che esaltano la sapidità dei cibi. Poco sale quindi, ma quel poco è opportuno sceglierlo iodato (non marino, non proveniente da posti esotici, non integrale ecc., semplicemente iodato) per coprire i fabbisogni di iodio, micronutriente critico in molte regioni italiane.
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