“Una reazione avversa al cibo nella quale è stato dimostrato il coinvolgimento di meccanismi immunologici”. Questa è una delle definizioni di allergia alimentare oggi utilizzata, una definizione che sottolinea come, per poter parlare di reazione allergica, non sia sufficiente presentare un determinato sintomo o un malessere dopo l’ingestione di un alimento, ma sia necessario dimostrare l’attivazione di specifici meccanismi immunitari. In caso di reazione allergica alimentare si osserva infatti ipersensibilità di tipo 1 mediata dalle immunoglobuline E (IgE, anticorpi coinvolti nella risposta immunitaria) che si manifesta per esempio con orticaria, difficoltà respiratorie e vomito in seguito all’ingestione di allergeni comunemente presenti in noccioline, uova, latte e altri alimenti.
Come si ricorda in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista EBioMedicine, esistono però anche altri tipi di allergie non mediate dalle IgE che possono causare sintomi intestinali ritardati rispetto all’ingestione del cibo allergizzante. E mano a mano che gli studi procedono vengono chiariti sempre più dettagli sulle risposte generate dal contatto dell’organismo con un cibo al quale è allergico. Un dato è certo, anche se le ragioni non sono ancora del tutto chiare: il numero di persone con allergia alimentare è in aumento nel mondo. Le stime più recenti parlano di un bambino su 10 in Australia e uno su 15 o su 20 in USA e Canada. I dati in Europa non sono molto diversi anche se calcolare i numeri esatti non è mai semplice a causa dei tanti fattori che potrebbero influenzare i risultati finali.
Perché alcune persone sviluppano allergie alimentari? E perché queste reazioni sono sempre più comuni? Non si dispone ancora di risposte definitive e univoche a tali domande: sono stati chiamati in causa diversi fattori ambientali come l’eccesso di igiene e la scarsa esposizione ai microbi durante le prime fasi della vita, la composizione del microbiota intestinale (la comunità di germi che popola l’intestino), la dieta quotidiana, l’obesità, i livelli di vitamina D e l’esposizione a determinate sostanze chimiche. E sono sempre più numerosi gli studi che sottolineano il ruolo importante della pelle e del microbiota intestinale nel determinare l’insorgenza di allergie alimentari.
La pelle sembra infatti essere il maggior sito di sensibilizzazione ad alcuni alimenti, in particolare alle arachidi, e le risposte di immunità innata nella pelle sono importanti nel promuovere lo sviluppo di una maggiore sensibilità verso gli allergeni del cibo. Nell’ipotesi della “doppia esposizione” per le allergie alimentari si sostiene che entrare in contatto (questo si intende per “esposizione”) con un allergene attraverso la pelle provochi la sensibilizzazione, mentre “incontrarlo” per via gastro-intestinale, e quindi ingerendolo nelle prime fasi della vita, sia in grado di generare tolleranza. Anche i germi presenti nell’organismo e nell’ambiente giocano un ruolo di primo piano nello sviluppo di allergie alimentari. Non è un caso infatti che tra i fattori protettivi vengano inseriti la presenza di un fratello/sorella maggiore o di un animale domestico in casa, oltre che la nascita con un parto naturale, l’allattamento al seno. Tutti elementi che contribuiscono ad aumentare la diversità del microbiota che già dalle prime fasi della vita influenza il rischio di allergie al cibo.
Attualmente non esistono trattamenti approvati per le allergie alimentari e le strategie per evitare reazioni allergiche potenzialmente molto pericolose per la salute consistono nell’evitare del tutto l’alimento a cui si è allergici o nel ricorrere, in caso di esposizione accidentale, a iniezioni di epinefrina. Un approccio piuttosto nuovo per ridurre la sensibilità a determinati allergeni alimentari è la cosiddetta immunoterapia orale che consiste nel somministrare alla persona allergica dosi crescenti dell’allergene per ridurre nel tempo l’intensità della reazione allergica.
Utilizzando tale metodo è possibile in molti casi arrivare a ottimi risultati e alla possibilità di assumere l’alimento dopo 2-4 anni di trattamento. Ma non è tutto. Le nuove scoperte nel campo medico e delle biotecnologie hanno portato gli esperti a studiare nuovi vettori per far arrivare l’allergene a destinazione, in pratica speciali “mezzi di trasporto” che facilitano il percorso dell’allergene e introducono anche altri fattori in grado di modulare la risposta immunitaria. Che si tratti di vettori batterici, nanoparticelle o altre cellule del sistema immunitario questi nuovi approcci rappresentano il futuro delle terapie per tenere sotto controllo le allergie alimentari.
Fonte:
Benedé S, et al. EBioMedicine. 2016 May;7:27-34. doi: 10.1016/j.ebiom.2016.04.012.